IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 29/88 del ruolo generale affari contenziosi lavoro, promossa da Frascaroli Anna (avv. F. Marengo, Alessandria), contro la ditta Sival (avv. B. Parodi, Novi Ligure). Oggetto: Mancata assunzione obbligatoria. PREMESSO IL FATTO Con ricorso del 6 febbraio 1988 Frascaroli Anna deduceva che in data 28 settembre 1987 era stata avviata al lavoro con lettera dell'U.P.L.M.O. di Alessandria presso la ditta Sival di Novi Ligure per la sua assunzione obbligatoria ai sensi della legge 2 aprile 1968, n. 482, e che la ditta Sival aveva rifiutato l'assunzione. Nel successivo giudizio instauratosi, la ditta Sival giustificava il rifiuto all'assunzione deducendo la totale copertura della quota riservata agli invalidi civili nell'organico del personale in forza alla ditta medesima, con eccedenza anzi di tale quota per n.ro due unita', in considerazione fatto che nella denunzia semestrale inviata all'U.P.L.M.O. risultavano in forza alla ditta sei invalidi civili, di cui due avviati obbligatoriamente e quattro assunti tramite il collocamento ordinario con invalidita' superiore ad 1/3. In particolare, la ditta residente censurava di illegittimita' costituzionale l'art. 9, terzo comma, della legge 11 novembre 1983, n. 638, che esclude dal computo dell'aliquota riservata agli invalidi quei dipendenti divenuti tali solo successivamente all'assunzione e non aventi un grado di invalidita' superiore al 60%. OSSERVA IN DIRITTO La questione su prospettata e' di evidente rilevanza nel presente giudizio, posto che la ditta Sival occupa alle sue dipendenze quattro lavoratori assunti nelle forme ordinarie aventi una invalidita' superiore ad 1/3 ma inferiore al 60% della capacita' lavorativa per cui, a norma del citato art. 9 della legge n. 638/1983, gli stessi non sono computabili al fine di determinare la quota riservata agli invalidi ai sensi della legge n. 482/1968. Quota, invece, completamente saturata nei fatti dalla esistenza dei dipendenti, assunti in via ordinaria, con grado di invalidita' superiore al 33%. La questione medesima non appare manifestamente infondata in quanto la disciplina dettata dalla normativa sopra richiamata determina un contrasto alla stessa con il dettato costituzionale degli artt. 3, 4 e 41 della Costituzione. Sotto tale profilo va rilevato che la esclusione degli invalidi civili, divenuti tali nel corso del rapporto, dal computo relativo alla quota d'obbligo determina una disparita' di trattamento tra questi e coloro che invece vengono avviati al lavoro ex lege n. 482/1968. Difatti, la garanzia reale del posto di lavoro e', per i primi, ingiustificatamente ridotta posto che essi (pur nella identica situazione di fatto: invalidi al lavoro) non beneficiano della particolare tutela approntata dall'ordinamento per i secondi ma, anzi, vedono notevolmente indebolita la loro posizione nel mercato del lavoro in quanto la loro prestazione e' valutabile ex art. 2110 del c.c. con una esposizione maggiore alla probabilita' di licenziamento e cio' a fronte del tentativo legislativo di facilitare l'assunzione di invalidi in condizioni analoghe ma disoccupati. In sostanza, cioe', con la limitazione di cui all'art. 9 della legge n. 638/1983, il legislatore, lungi dal promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e di rimuovere quegli ostacoli che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione economica e sociale del Paese, ha contravvenuto ai propri intendimenti ponendo in essere una ingiustificata disparita' di trattamento tra invalidi avviati obbligatoriamente al lavoro ed invalidi gia' impiegati, ponendo per gli uni e per gli altri un diverso grado di invalidita' (33 e 60%) al di la' del quale parificare le situazioni. Ancora, la normativa di cui sopra si appalesa e si risolve in una intollerabile compressione della liberta' di iniziativa economica privata. Se infatti si afferma, come in piu' occasioni ha ribadito la suprema Corte (Cassazione n. 2438/85, n. 4299/1985 e succ.) che nel sistema del collocamento obbligatorio degli invalidi ed assimilati la copertura dell'aliquota complessiva di cui all'art. 11 della legge n. 482/1968 puo' ritenersi realizzata solo attraverso le assunzioni effettuate su designazione e mediante l'intervento dell'ufficio provinciale del lavoro; che tale computo non e' discriminatorio nei confronti dei lavoratori invalidi assunti tramite il collocamento ordinario, dato che la posizione lavorativa di questi ultimi sarebbe tutelata in misura pari a quella delle categorie protette; se, in definitiva, il principio della solidarieta' sociale esige di non sacrificare alle legittime aspirazioni dei lavoratori invalidi disoccupati i diritti dei lavoratori invalidi gia' inseriti in aziende, si viene allora inevitabilmente a causare la lamentata compressione della norma dell'art. 41 della Costituzione. Qualora infatti l'imprenditore non possa, per i motivi ora detti, licenziare il lavoratore invalido per una percentuale inferiore al 60% e non assunto obbligatoriamente, o non voglia licenziarlo per motivi umanitari, si troverebbe nella odiosa situazione di dover coprire la quota del 15% dei dipendenti con personale assunto obbligatoriamente, ma dovrebbe poi mantenere nell'organico gli invalidi assunti tramite il collocamento ordinario, trovandosi cosi' a superare, come nella fattispecie de quo, la quota del personale invalido fissata per legge, quota in cui il legislatore ha ritenuto di individuare il giusto contemperamento fra le esigenze della produzione e quelle della solidarieta' sociale. Tale misura (e tale ragionevole limite alla liberta' organizzativa ed alla organizzazione produttiva) viene pero' ad essere stravolta allorche' l'azienda puo', nel concreto dei fatti vedersi costretta a riempire la quota d'obbligo del 15% di invalidi ben oltre - e senza alcun limite superiore di percentuale - il numero di invalidi che effettivamente lavorino alle sue dipendenze. Pertanto la misura del 15% finisce per porsi esclusivamente come limite burocratico per gli uffici provinciali del lavoro rispetto all'adempimento del proprio obbligo di inoltrare invalidi alle aziende, mentre sull'imprenditore viene a gravare il peso di una aliquota di lavoratori con invalidita' superiore ad 1/3 effettivamente superiore (e, potenzialmente, senza alcun limite massimo) al 15% voluto dalla legge.